Lo studio trova sprint con il piano incentivi
Non solo tempo e nuovi clienti per misurare (e premiare) il valore dei collaboratori nello studio: il piano degli incentivi può tenere conto di altre variabili, a discrezione dei dirigenti.
Gli studi professionali adottano spesso piani di retribuzione che prevedono compensi variabili oltre a bonus o incentivi, con l’ intenzione di stimolare i propri collaboratori premiandoli e sommando al compenso fisso (oramai una prassi abituale), gratifiche economiche commisurate al successo della loro attività. Normalmente gli indici utili per misurare questo successo sono, appunto, la capacità di sviluppo di nuova clientela e la quantità di ore lavorate. Solo raramente vengono soppesati altri fattori. Così come altrettanto raramente l’incentivo si esprime in maniera diversa dal compenso in denaro. Questo meccanismo è fondato sulla buona intenzione di applicare criteri meritocratici, ma si rivela spesso inadatto a rispondere alle aspettative dei collaboratori. La natura della collaborazione Le ragioni vanno ricercate nella struttura del rapporto di collaborazione che è per sua natura ibrido o, per meglio dire, basato su un equivoco di fondo: le aspettative del titolare o dei soci dello studio professionale e quelle dei collaboratori (che non possono essere dipendenti, nel caso, ad esempio dello studio legale), sono lontane tra loro. Da una parte la necessità dei titolari di delegare parte del lavoro richiesto dai clienti a persone capaci, formandole, organizzandone l’ attività e garantendosi – per l’appunto tramite un compenso fisso- continuità, impegno e fedeltà; dall’ altra, la pluralità di attese che possono animare il collaboratore di studio. Il compenso fisso infatti risponde a una più che legittima necessità della forza lavoro professionale di avere rispetto per il tempo dedicato al lavoro su clienti non propri, ma ha creato, in molti casi, la convinzione di costituire il fine ultimo dell’attività svolta. Essere un professionista “stipendiato” equivale, per molti, a essere un professionista non-libero. Da qui lo svantaggio di dipendere in tutto e per tutto dal titolare dello studio per la propria crescita, ma anche il vantaggio di non doversi occupare, se non per subirle, delle sorti dello studio, del suo successo sul mercato e della sua gestione. È evidente che un buon piano di compensazione non potrà, da solo, risolvere questo delicato e annoso problema, ma può introdurre policy che contribuiscano a formare un tertium genus di collaboratore che appartenga alla categoria del professionista “libero” all’interno di uno studio organizzato, con la legittima aspettativa di crescere al suo interno, di condividerne le sorti, il successo e, magari un giorno, di gestirlo a propria volta. L’incentivazione di questo impegno per ottenere questi effetti deve rivolgersi a tutti gli addetti e coprire tutta la gamma di sforzi di chi lavora in studio. Le tappe del piano Per funzionare il piano deve avere innanzitutto le caratteristiche di trasparenza necessarie a renderlo appetibile e imparziale: va dunque adottato formalmente, ad esempio nella forma di un codice etico, come allegato al contratto di lavoro, o come regolamento cui venga fornita adeguata pubblicità nello studio. Deve inoltre fondarsi il più possibile su obiettivi chiari la cui determinazione è discrezionale e salda nelle mani del gruppo dirigente e attiene alla strategia che questo ha sposato per la sua crescita (si veda l’ articolo a fianco). Gli obiettivi vanno poi condivisi e resi espliciti a tutto il gruppo di lavoro, staff incluso. Quanto ai criteri per determinare la misura e la qualità dell’ incentivo, anche questi devono essere trasparenti benché frutto di una scelta discrezionale del gruppo dirigente. I soci assegneranno a ogni persona un punteggio in una scala predeterminata per ciascuno degli obiettivi assegnati. Il totale dei voti sarà il coefficiente di moltiplicazione dell’ unità di misura dell’ incentivo. Il valore di questa unità di misura si determina invece dividendo il budgetgratifiche per la somma dei risultati di tutto il gruppo.
( Articolo di Paola Parigi pubblicato su “Il Sole 24 ore” )