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Nuovi scenari per l’Iva non versata

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Una pratica che si è diffusa notevolmente negli ultimi anni, caratterizzati da crisi di liquidità e difficoltà per le imprese a far fronte agli impegni finanziari, è omettere scientemente il versamento dell’Iva, attendendo le azioni di riscossione coattiva dell’Agenzia delle Entrate e poi procedendo a rateizzare il debito emergente. Facendo attenzione al rilievo penale di tale comportamento (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 che fissa la soglia penale a € 250.000 per periodo d’imposta), molte imprese utilizzano questo comportamento come una sorta di autofinanziamento, considerando che faranno fronte alla richiesta dell’Erario o tramite la rateazione dell’avviso bonario ex art. 3-bis del D.Lgs. 462/1997 (8 rate trimestrali o 20 se il debito supera € 5.000) oppure rateizzando la cartella di pagamento (72 rate mensili o 120 con piano straordinario). Questo comportamento subirà modifiche con l’avvento del Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019 la cui entrata in vigore è prevista per il 15.08.2020) in relazione alle cosiddette procedure di allerta che vengono introdotte normativamente per intercettare la crisi dell’impresa anzitempo ed evitare, se possibile, che la situazione si deteriori al punto tale da sfociare in procedura concorsuale. In sostanza le procedure di allerta consistono in una segnalazione di difficoltà aziendale che alcuni soggetti sono tenuti ad eseguire. Questi soggetti sono, in ambito privatistico, gli organi di controllo della società, il revisore contabile o la società di revisione, ma sono previsti dall’art. 15 del CDC anche soggetti definiti “Creditori Pubblici Qualificati” su cui grava lo stesso obbligo di segnalazione e tra tali soggetti emerge l’Agenzia delle Entrate, oltre all’Inps e all’Agente della riscossione. L’intervento dell’Agenzia delle Entrate scatterà con un avviso tracciabile (Pec o raccomandata) al debitore nel quale verrà segnalato che è stato superato il limite di debito per Iva non versata, la cui quantificazione è rimessa all’art. 15, c. 2 del CDC. A questo punto se entro 90 giorni il debitore avrà regolarizzato la sua posizione si avrà il pieno rientro “in bonis”; viceversa l’Agenzia delle Entrate dovrà rendere edotto della situazione l’Organismo di Composizione della Crisi che inizierà la procedura di composizione di cui all’art. 19 CDC. Un primo punto da mettere in risalto è la quantificazione del debito Iva non versato: si consideri che si parla solo di debito Iva e non di altre imposte eventualmente dovute. A tal riguardo l’art. 15, c. 2 individua 2 parametri che devono sussistere congiuntamente: – assumendo il debito che emerge dalla liquidazione periodica, si deve valutare se la somma non versata è almeno il 30% del volume di affari del medesimo periodo (si presume che il termine periodo sia riferito al mese/trimestre oggetto della liquidazione periodica); – la somma deve inoltre essere non inferiore a € 25.000 se il volume di affari dell’anno precedente non supera € 2.000.000, e non inferiore a € 50.000 se il volume d’affari non è superiore a € 10.000.000 e € 100.000 se il volume d’affari, sempre dell’anno precedente, è superiore a € 10.000.000. Da ciò si ricava che, se il volume d’affari dell’anno precedente non è superiore a € 2.000.000, il debito Iva non versato fino a € 25.000 non costituirà elemento da segnalare per l’Agenzia delle Entrate a prescindere dal rapporto tra debito non versato e volume d’affari risultante dalla LI.PE. Vale ovviamente anche il contrario, essendo due elementi da verificare congiuntamente.

( Articolo di Paolo Meneghetti, Vittoria Meneghetti pubblicato su “Ratio Quotidiano” )

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