studioramuglia@gmail.com   090 336216

I congedi per la maternità

Condividi

Lavoro – Tutte le novità per le lavoratrici riguardanti i congedi per la maternità.

A partire da quest’ anno le lavoratrici dipendenti in gravidanza possono decidere di restare a lavoro fino al giorno del parto e di fruire i cinque mesi di congedo di maternità (ex astensione obbligatoria) dopo la nascita del figlio. La novità, introdotta con la legge bilancio 2019 (legge n. 145/2018) è diventata operativa con la recente circolare dell’ Inps n. 148/2019. L’ occasione consente di approfondire la disciplina dei congedi sulla maternità alla luce di questa e di altre novità, tra cui l’ ampliamento delle tutele a favore dei lavoratori parasubordinati, in vigore dal 5 settembre scorso, operato dal decreto legge n. 101/2019 (c.d. Decreto su crisi d’ impresa). La disciplina è essenzialmente contenuta nel T.u. maternità, il dlgs n. 151/2001. Il provvedimento assicura a lavoratrice e lavoratori, genitori, una serie di tutele sin dal periodo della gravidanza e fino a quando il figlio non compie 12 anni d’ età (tutele che vanno dalla garanzia del posto di lavoro fino a congedi e permessi), come riassunto in tabella. In via di principio, la disciplina sulla tutela della maternità (il predetto T.u.) si applica soltanto ai lavoratori dipendenti, cioè ai titolari di un contratto di lavoro subordinato, compresi anche gli apprendisti, i soci di cooperative e i dirigenti, nonché quei co.co.co. (collaboratori coordinati e continuativi) di «terza generazione» ai quali si applica comunque la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Regole particolari sono previste per i domestici, i lavoratori a domicilio, i lavoratori autonomi (commercianti, artigiani ecc.) e per i lavoratori parasubordinati (cioè gli iscritti alla gestione separata dell’ Inps).

IL CONGEDO DI MATERNITÀ

È il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro (c’ è espresso divieto per il datore di lavoro) riconosciuto alle lavoratrici dipendenti durante la gravidanza e il puerperio. Ordinariamente, il congedo inizia due mesi prima la data presunta del parto e termina tre mesi dopo la nascita del bimbo. In alcuni casi, il periodo di astensione può riguardare anche i periodi di gestazione antecedenti ai due mesi precedenti la data presunta, e, in particolare, qualora venga disposta l’ interdizione anticipata dal lavoro dall’ azienda sanitaria locale, se la gravidanza è a rischio, oppure dell’ ispettorato territoriale del lavoro nel caso in cui la lavoratrice svolga mansioni non compatibili con la gravidanza. Il diritto al congedo è previsto anche in caso di adozione o affidamento di minori.

Dopo il parto, come accennato, il congedo perdura ordinariamente per altri tre mesi. Tuttavia: a) in caso di parto avvenuto dopo la data presunta, ai tre mesi vanno aggiunti i giorni compresi tra la data presunta e quella effettiva; b) in caso di parto anticipato rispetto alla data presunta (parto prematuro o precoce), ai tre mesi vanno aggiunti i giorni di astensione non goduti; ciò anche nel caso in cui la somma dei tre mesi successivi al parto e dei giorni compresi tra la data effettiva e quella presunta del parto supera il limite di cinque mesi. Inoltre, dopo i tre mesi, può aggiungersi un ulteriore periodo di astensione per interdizione obbligatoria disposta dall’ ispettorato territoriale del lavoro (per mansioni incompatibili con il puerperio). Quanto vale la maternità Durante i periodi di congedo di maternità (o paternità, si veda in seguito) la lavoratrice (o il lavoratore) ha diritto a percepire un’ indennità pari all’ 80% della retribuzione giornaliera calcolata sulla base dell’ ultimo periodo di paga precedente l’ inizio del congedo di maternità, quindi, solitamente, l’ultimo mese di lavoro precedente il mese di inizio del congedo.

Per gli iscritti alla gestione separata, se il reddito deriva da attività libero professionale o di collaborazione coordinata e continuativa parasubordinata, l’indennità di congedo è pari all’ 80% di 1/365 del reddito. Il diritto all’ indennità si prescrive entro un anno e decorre dal giorno successivo alla fine del congedo di maternità (o paternità). Per evitare la perdita del diritto è necessario che la lavoratrice o il lavoratore presentino all’ Inps (prima dello scadere dell’ anno) istanze scritte di data certa, dirette a ottenere il pagamento della indennità.

La contribuzione è figurativa I cinque mesi di congedo indennizzati, anche se non lavorati e senza versamento effettivo di contributi all’ Inps, sono per legge pienamente utili sia per il diritto e sia per la misura della futura pensione perché coperti da contribuzione figurativa. E quando la maternità è extra lavorativa? In presenza di particolari condizioni, è prevista l’ estensione della copertura anche alle nascite avvenute al di fuori del rapporto di lavoro (e non in dennizzate). In particolare, la legge riconosce la copertura figurativa per i cinque mesi corrispondenti a quello che sarebbe stato il congedo obbligatorio anche in favore delle madri che al momento del parto non prestavano attività lavorativa.

Condizione per l’ accredito è che la lavoratrice sia iscritte all’ Inps (comprese le gestioni ex Enpals, Inpdap e Fondi Speciali) e che possa far valere, al momento della domanda, almeno cinque anni di contribuzione da lavoro dipendente. La flessibilità del congedo di maternità La flessibilità dell’ astensione obbligatoria è un diritto che consente alla lavoratrice dipendente in gravidanza di scegliere una suddivisione diversa dal «2 + 3» (due mesi ante partum e tre mesi post partum), a suo parere più appropriata, del periodo di cinque mesi d’ interdizione obbligatoria, prima e dopo il parto. Il diritto alla flessibilità è riconosciuto a tutte le lavoratrici dipendenti, pubbliche e/o private, subordinatamente alle seguenti condizioni: a) assenza di condizioni patologiche che configurino situazioni di rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro al momento della richiesta; b) assenza di un provvedimento d’ interdizione anticipata dal lavoro da parte della competente direzione provinciale del lavoro; ovvero venir meno della cause che abbiano in precedenza portato ad un provvedimento d’ interdizione anticipata; c) assenza di pregiudizio alla salute della lavoratrice e del nascituro derivante dalle mansioni svolte, dall’ ambiente di lavoro e/o dall’ articolazione dell’ orario di lavoro previsto; nel caso venga rilevata una situazione pregiudizievole, alla lavoratrice non può essere consentito, ai fini dell’ esercizio dell’ opzione, lo spostamento ad altre mansioni ovvero la modifica delle condizioni e dell’ orario di lavoro; d) assenza di controindicazioni allo stato di gestazione riguardo alle modalità per il raggiungimento del post o di lavoro.

LE CONDIZIONI PER LA FLESSIBILITÀ

  • Per avvalersi della flessibilità, la lavoratrice deve consegnare all’ Inps e al datore di lavoro le certificazioni mediche rilasciate dal ginecologo del servizio sanitario nazionale (Asl) o con esso convenzionato e dal medico aziendale, responsabile della sorveglianza sanitaria (in mancanza del medico aziendale, il datore di lavoro deve rilasciare una dichiarazione da cui risulta che in azienda o per le attività svolte dalla lavoratrice non esiste l’ obbligo di sorveglianza sanitaria sul lavoro).
  • Le certificazioni devono attestare che la prosecuzione dell’ attività lavorativa, oltre il settimo mese di gravidanza (ottavo mese di gravidanza; oppure ottavo e nono mese di gravidanza), non è rischiosa per la salute della gestante e del nascituro. – Le certificazioni devono essere rilasciate dai medici specialisti entro la fine del settimo mese di gravidanza. – La flessibilità è interrotta su richiesta della lavoratrice oppure per effetto di un periodo di malattia della lavoratrice, anche nel caso in cui la malattia non sia legata alla la lavoratrice inizia il periodo di congedo di maternità e le giornate di astensione obbligatoria non godute prima si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto.

COSA SUCCEDE CON L’ INTERDIZIONE ANTICIPATA

L’ interdizione dal lavoro per gravi complicanze della gravidanza o persistenti forme morbose è compatibile con la facoltà di astensione (c.d. flessibilità) solo dopo il parto, a patto che i motivi a base dell’ interdizione cessano prima dell’ inizio del congedo di maternità ante partum L’interdizione per condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli e quando la lavoratrice non può essere adibita ad altre mansioni non è compatibile con la facoltà di astensione (c.d. flessibilità) solo dopo il parto, perché non c’è ripresa di attività lavorativa prima del parto La revoca della flessibilità Una volta ottenuta l’autorizzazione alla flessibilità del congedo di maternità, la lavoratrice non è obbligatoriamente tenuta al rispetto della stessa. Resta, pertanto sua la facoltà di revocare o di ridurre il periodo di flessibilità richiesto, anche se ottenuto. Altresì, il periodo di flessibilità può essere revocato o ridotto per fatti sopravvenuti (malattia, per esempio, che determina il venir meno dell’ autorizzazione concessa, come detto). Nell’ uno e nell’ altro caso, il periodo d’ astensione prima del parto richiesto in flessibilità e lavorato (cioè non fruito) è recuperato quale congedo di maternità post partum. In altre parole, opererà l’ automatico differimento a dopo il parto delle giornate d’ astensione obbligatoria non godute prima della data presunta del parto, che sono state considerate oggetto di flessibilità, comprese le festività. Il periodo di flessibilità, anche se già accordato, s’ interrompe con l’ insorgere di un periodo di malattia in quanto ogni malattia che intervenga in quel periodo (di maternità) comporta un rischio per la salute della lavoratrice e del nascituro.

IL CONGEDO DI PATERNITÀ

Va sotto il nome di «congedo di paternità» il diritto al congedo di maternità della madre esteso al padre lavoratore nelle seguenti specifiche ipotesi: – morte o grave infermità della madre; – abbandono del bambino da parte della madre; – affidamento del bambino al padre in via esclusiva. Il papà ne beneficia in alternativa alla madre, per tutta la durata spettante a quest’ultima o per la parte residua che sarebbe spettata. Il padre ha un diritto autonomo al congedo di paternità, che gli viene riconosciuto anche se la madre non è o non era lavoratrice o se è una lavoratrice autonoma avente diritto alla relativa indennità di maternità. Analogamente a quanto previsto per la madre (congedo di maternità), il padre titolare del congedo di paternità può richiederne la sospensione in caso di ricovero del figlio in una struttura pubblica o privata. Inoltre, in caso di parto fortemente prematuro, gli ulteriori periodi di congedo di maternità riconosciuti alle lavoratrici madri influiscono anche sulla durata del congedo di paternità (Inps, circolare n. 69/2016).

Per continuare a leggere l’articolo, clicca qui

( Articolo di Daniele Cirioli pubblicato su Italia Oggi )

Rispondi

Torna su