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I redditi degli Youtuber

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Chi ha figli giovanissimi, dai 7 anni in sù, sa di cosa si parla (o può chiedere al figlio); gli altri generalmente non conoscono affatto il mondo degli Youtuber, influencer capaci di attrarre i giovanissimi con straordinarie attitudini comunicative (moderni pifferai magici, secondo alcuni). Un recente intervento mediatico della Guardia di Finanza, la cui fondatezza sarà chiarita nelle sedi opportune, ha rivelato ai più adulti che alla base di questo fenomeno vi è un fiorente modello economico: un esimio giornalista ha ammesso di aver scambiato il nome di battaglia di un giovane milionario per un codice fiscale. Il modello è basato essenzialmente su introiti pubblicitari girati agli Youtuber da Google e da altre Over the Top, e da abbonamenti distribuiti tra i followers. Non tutti i giovani Youtuber girano in Ferrari, distribuendo banconote dal finestrino (che ci piaccia o no, c’è anche chi lo fa), però alcuni di loro ottengono redditi anche decisamente consistenti. Ma come devono essere trattati questi introiti? Anzitutto Google non aiuta, perché la società estera dichiara di non essere interessata all’invio di fatture o simili amenità e non è tenuta a operare come sostituto d’imposta. Sul web circolano consigli da prendere con le pinze. È opinione diffusa, che qui non condividiamo, che l’attività possa essere considerata occasionale fino a un preciso limite reddituale che è pari a 5.000 euro annui. Parrebbe, tuttavia, che questo sia un equivoco che nasce dal limite esistente per l’assoggettamento a contribuzione previdenziale. Si tratta però di una diversa famiglia e infatti, nella disciplina fiscale della collaborazione occasionale, non esiste né un limite reddituale, né un limite di operazioni annue. Altra leggenda mediatica da sfatare è che il Fisco non saprebbe come tassare l’attività dello Youtuber in mancanza dell’apposito codice attività. Fidatevi, il Fisco sa perfettamente come tassarvi e se non basta la nostra parola, possiamo scorrere l’elenco dei codici (che servono principalmente per fini statistici) per trovare nominate anche le attività residuali. Mantenere un canale Youtube attivo vuol dire martellare i propri followers con video brevi e frequenti. Tradotto in termini fiscali, un’attività caratterizzata dalla professionalità, dalla ripetitività, dalla stabilità e dalla sistematicità è considerata attività abituale da lavoro autonomo. Fortunatamente (per i giovani amici) fino a 65.000 euro di ricavi annuali si potrà applicare la tassazione dei minimi. Si applicherà un’imposta del 5% del reddito, che diventa 15% al quarto anno. Spetta anche una deduzione a forfait per i costi (22% dei ricavi). Un regime molto appetibile, che per volumi contenuti dovrebbe scoraggiare l’evasione. Il regime risolve radicalmente anche il tema dell’IVA (che non si applicherebbe comunque, visto che i rapporti sono per lo più tassati nel Paese del committente). Sul reddito, inoltre, vanno applicati i contributi previdenziali. Naturalmente anche i minorenni sono tassati e qui dovranno essere i genitori a rappresentarli. In ogni caso occorre procedere subito alle opportune registrazioni per evitare problemi. Per i guadagni più importanti, il consiglio è di rivolgersi a un bravo commercialista. Insomma, le regole sono tutto sommato semplici. La verità è che per gli Youtuber i soldi cominciano ad affluire lentamente, ma poi a volte il fiume si ingrossa di colpo, lasciando l’aspetto economico in mano a soggetti privi della necessaria esperienza e preparazione.

(Alberto Di Vita pubblicato su “Ratio Quotidiano” )

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