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Commercializzazione dei prodotti di terzi per i florovivaisti

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L’attività di commercializzazione dei prodotti di terzi è disciplinata dall’art. 2135, c. 3 C.C. tra le attività agricole connesse e ha ricevuto un impulso significativo dal 2019 con la pubblicazione dell’art. 1, c. 700 legge di Bilancio 2019. Gli imprenditori agricoli possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio nazionale, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, ma soprattutto “vendere direttamente al dettaglio in tutto il territorio della Repubblica italiana i prodotti agricoli e alimentari, appartenenti ad uno o più comparti agronomici diversi da quelli dei prodotti della propria azienda, purché direttamente acquistati da altri imprenditori agricoli. Il fatturato derivante dalla vendita dei prodotti provenienti dalle rispettive aziende deve essere prevalente rispetto al fatturato proveniente dal totale dei prodotti acquistati da altri imprenditori agricoli”. In origine, tuttavia, mancavano indicazioni specifiche circa natura, origine o qualità dei prodotti da commercializzare e solo grazie al nuovo comma 1-bis dell’art. 4, D.Lgs. 228/2001, introdotto come detto dalla legge di Bilancio 2019, l’imprenditore agricolo ha la facoltà di commercializzare al dettaglio: – prodotti agricoli, originari o trasformati, provenienti dalla propria attività, purché nel rispetto dei requisiti previsti dall’art. 2135 C.C., senza alcun limite; – beni finiti costruiti dall’impresa con prodotti ricavati dalle proprie attività agricole, anche con successive lavorazioni, senza alcun limite; – prodotti agricoli e alimentari, nello stato originario o trasformati, e non agricoli, acquistati da chiunque e appartenenti al medesimo comparto agronomico della propria attività, anche di origine industriale, purché non prevalenti rispetto a quelli di propria produzione e comunque entro il limite di corrispettivi annui di euro 160.000 o di euro 4.000.000, rispettivamente per le imprese individuali e società; – prodotti agricoli e alimentari di qualsiasi genere purché acquistati direttamente da altre imprese agricole e i corrispettivi realizzati dalla rivendita dei prodotti acquistati siano inferiori a quelli dei beni di propria produzione venduti al dettaglio e comunque entro il limite 160.000 o 4.000.000 di euro annui, rispettivamente per le imprese individuali e società. Dal punto di vista civilistico viene pertanto riconosciuta la qualifica IAP (alcune Regioni tendono ancora a non concederla in quanto ritengono decaduto il presupposto dell’esercizio esclusivo dell’attività agricola). Dal punto di vista fiscale, invece, occorre precisare che la sola commercializzazione di beni di terzi o di piante prodotte da terzi per le quali non sia prevista alcuna operazione colturale agricola è considerata commerciale, con la conseguente tenuta di una contabilità separata e reddito determinato a costi e ricavi (metodo analitico).

( Articolo di di Paolo Lacchini pubblicato su “Ratio Quotidiano”)

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