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Le vendite a distanza del vino nell’UE – spedizioni e prove alternative

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La spedizione del vino ad accisa italiana assolta, a mezzo di rappresentante fiscale accise del Paese di destino

Diverso invece è il caso della vendita a distanza, con spedizione del vino italiano in ambito UE, di vino che è già stato “immesso in consumo” in Italia e quindi è già connotato da un’accisa italiana assolta.

La casistica ricorre, tipicamente, in capo al deposito commerciale di prodotti alcolici in Italia, che, acquistato il vino, intende rivenderlo ad acquirenti di altro Paese UE. La fattispecie è disciplinata dall’articolo 36, Direttiva 2008/118/CE (e specularmente dell’articolo 10-bis, Tua), per il quale i prodotti sottoposti ad accisa già immessi in consumo in uno Stato membro, acquistati da un privato di altro Paese UE, e spediti o trasportati in un altro Stato membro direttamente o indirettamente dal venditore o per suo conto, sono sottoposti ad accisa nello Stato membro di destinazione (con esigibilità del tributo nello Stato membro di destinazione solo al momento della consegna).

Il debitore dell’accisa dovuta nello Stato UE di destinazione resta, per legge, il cedente/venditore del vino; ma questi può avvalersi (se tale Stato lo ammette) di un rappresentante fiscale, stabilito localmente. In ogni caso, lo speditore sarà tenuto a prestare cauzione, a garanzia del pagamento dell’accisa dovuta nello Stato di destinazione (mentre, formalmente, l’accisa dovuta nel proprio Stato membro sarebbe rimborsabile, a favore del cedente, non essendo più detto Paese quello di effettiva immissione in consumo del bene. In Italia, comunque e come già detto, l’aliquota d’accisa sul vino è pari a zero).

La cauzione dovrebbe coincidere con il 100% dell’accisa dovuta nel Paese di destino: ma potrebbe essere utile verificare, con l’ufficio doganale nazionale competente, se tale obbligo possa essere evitato, a fronte della dimostrazione di avere già prestato garanzia nel Paese di destino. Non circolando in regime di sospensione d’imposta, la merce potrà essere scortata dal semplice DAS (documento di accompagnamento semplificato) di cui agli articoli 9 e 10, D.M. 210/1996.

Esso si compone di 3 esemplari, per lo speditore, per il destinatario, e quello da rinviare allo speditore per l’appuramento (e in tale meccanismo si colgono ancora gli echi della risalente disciplina afferente alla necessità di acquisire, da parte del cedente, la terza copia cartacea del DAA, ai fini dell’appuramento della circolazione in sospensione d’imposta; e di tutti gli affanni a ciò connessi). Ai fini dell’Iva, il cedente dovrà emettere fattura nei confronti del cliente finale con dicitura “operazione non imponibile articolo 41/1/b, D.L. 331/1993”; e l’Iva del Paese di destino andrà calcolata includendo, nella base imponibile, l’accisa ivi dovuta.

Le prove alternative

Il regime di non imponibilità Iva della cessione intracomunitaria del vino deve soggiacere al rispetto di ulteriori requisiti, rispetto ai beni comuni. Come detto, la circolazione del vino in regime sospensivo da accisa, in ambito comunitario, implica la relazione con istituti doganalistici (documenti di accompagnamento, appuramento del regime di sospensione d’accisa) cha coinvolgono Autorità pubbliche, cioè doganali. Tale circolazione avviene in un circuito chiuso tra depositi fiscali o comunque soggetti autorizzati, nel rispetto di formalità di stampo doganale e sotto la sorveglianza di Autorità pubbliche.

Le verifiche sulla terza copia del DAA cartaceo appartengono, per fortuna, al passato, ma la sostituzione di tale sistema con il documento elettronico e-AD nulla toglie alla rilevanza del tema e dei principi a esso sottesi. In caso di irregolarità sul versante delle accise, infatti, il regime di non imponibilità in Italia dell’operazione viene meno e l’Agenzia delle entrate è titolata a recuperare l’Iva nazionale.

Stando alle norme, il tema delle cessioni intracomunitarie di vino è delineato dall’articolo 41, D.L. 331/1993, per il quale: “le cessioni dei prodotti soggetti ad accisa sono non imponibili se il trasporto o spedizione degli stessi sono eseguiti in conformità degli articoli 6 e 8 del presente decreto…”. Premesso che l’articolo 6, D.L. 331/1993 ora è l’articolo 6, D.Lgs. 504/1995, rubricato “Circolazione in regime sospensivo di prodotti sottoposti ad accisa”; e che l’articolo 8, D.L. 331/1993 ora è l’articolo 8, D.Lgs. 504/1995, rubricato “Destinatario registrato”; sul tema, è da sottolineare la presa di posizione, risalente ma nei principi ancora fortemente attuale, della circolare n. 13/1994, secondo la quale spetta all’Erario nazionale il recupero dell’Iva italiana, afferente alle cessioni in UE di beni soggetti ad accisa, se il loro trasporto o spedizione non sono eseguiti nel rispetto delle modalità previste dalla normativa sulle accise.

Per evitare inattesi recuperi, dunque, può essere opportuno tracciare un quadro del tema delle prove alternative che il cedente può esibire alle Autorità nazionali, attestanti l’arrivo nel Paese di destino del vino, in alternativa rispetto agli ordinari documenti di chiusura del “circuito chiuso” di matrice doganale, sopra descritto. Per i beni spediti in sospensione di accisa da deposito fiscale italiano, per il depositario cedente e mittente, la prova di arrivo della merce a destino è costituita dalla nota di ricevimento informatizzata.

La disciplina della prova è analoga alle cessioni all‘esportazione ed è rinvenibile nello stesso articolo 28, Direttiva 2008/118/CE, per cui: “… la nota di ricevimento di cui all’articolo 24, § 1 [e non la nota di esportazione ex articolo 25 NdA] attesta la conclusione di una circolazione di prodotti sottoposti ad accisa”. La norma precisa altresì che, in assenza della nota di ricevimento, la prova della conclusione della circolazione di prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione può essere fornita anche mediante un visto delle Autorità competenti, dello Stato membro di destinazione, che attesti che i prodotti sottoposti ad accisa spediti hanno raggiunto la loro destinazione.

Da questo punto di vista, la documentazione presentata dal soggetto destinatario, autorizzato dalle Autorità del Paese membro di destino, contenente gli stessi dati della nota di ricevimento, potrebbe rappresentare un elemento di prova appropriato ai fini dell’attestazione di arrivo e dunque di “immissione in consumo” del bene nel Paese medesimo. Tuttavia, la valutazione del rilievo probatorio della documentazione proveniente tra le parti private, coinvolte nell’operazione, è sempre rimessa all’Autorità pubblica del Paese del cedente, che potrebbe ritenere detti documenti insufficienti, in assenza di una forma di validazione da parte di un’autorità doganale del Paese di asserita destinazione delle merci (e questo, ai sensi dell’articolo 6, D.Lgs. 504/1995).

Ricordiamo infatti che la connotazione doganalistica della materia presuppone, sempre e comunque, il coinvolgimento degli uffici doganali come controllori della correttezza delle operazioni di spedizione dei beni sottoposti ad accisa, qui in esame. Sarebbe opportuno, in ogni caso, conservare ed esibire documentazione di provenienza latamente terza, come quella generata dallo spedizioniere. Quest’ultimo, infatti, seppure parte privata, è figura più neutrale rispetto ai soggetti depositari, cedenti e riceventi la merce.

Quanto poi al vino spedito in UE a cura del piccolo produttore, allora esso potrà provare l’intervenuta cessione intracomunitaria con i documenti di trasporto e la fattura del trasportatore. In caso invece di cessione EXW o FCA località italiana, il piccolo produttore dovrà procurarsi la prova di arrivo della merce a destino mediante ritorno di copia del documento MVV con timbro e firma del destinatario.

Negli anni, la prassi dell’Agenzia delle entrate ha dispiegato una sempre maggiore, per quanto cauta, apertura verso il tema delle prove alternative dell’avvenuto arrivo delle merci nel Paese UE: ma pur sempre nel contesto delle spedizioni dei beni “ordinari”, vale a dire non soggetti ad accisa. Si pensi alla risoluzione n. 345/E/2007, che ha ammesso come prove alternative dell’avvenuta consegna nel Paese comunitario la fattura di vendita all’acquirente comunitario ex articolo 41, D.L. 331/1993; gli elenchi riepilogativi relativi alle cessioni intracomunitarie effettuate; il documento di trasporto CMR firmato dal trasportatore e dal destinatario per ricevuta; la rimessa bancaria del pagamento della merce; o alla risoluzione n. 477/E/2008, che, come ulteriore passo avanti, nei casi in cui il cedente non sia in grado di esibire il documento di trasporto CMR, ha ammesso qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro.

Ancora più accondiscendente risulta la risoluzione n. 19/E/2013, che ha ammesso il CMR elettronico quale mezzo di prova idoneo a dimostrare l’uscita della merce dal territorio nazionale, così come un insieme di documenti che evidenzino le medesime informazioni presenti nel CMR e le firme dei soggetti cedente, vettore e cessionario (è stato ammesso anche l’utilizzo delle informazioni tratte dal sistema informatico del vettore, da cui risulta che la merce ha lasciato il territorio dello Stato e ha raggiunto il territorio di un altro Stato membro).

Nello stesso senso, la risoluzione n. 71/E/2014 ha concluso che: “la prova dell’avvenuto trasferimento del bene in altro Stato membro deriva da un insieme di documenti da cui si ricava, con sufficiente evidenza, che il bene è stato trasferito dallo Stato del cedente a quello dell’acquirente”. Tuttavia, resta fermo che, per i beni sottoposti ad accisa, è dubitabile che la mera documentazione formatasi tra le sole parti private, protagoniste dell’operazione, assuma il medesimo valore che le è riconosciuto nei casi di cui agli atti di prassi menzionati.

Anzi, la circolare n. 46/E/2005, resa proprio in tema di cessioni intracomunitarie in ambito accise, attesta che l’accettazione di tali prove alternative è comunque soggetta “per i movimenti intracomunitari, alla validazione da parte dello Stato membro di destinazione, con la dichiarazione che i prodotti sottoposti ad accisa spediti hanno effettivamente raggiunto la destinazione prevista”: in questo modo confermando l’impostazione pubblicistico/doganalistica, secondo cui solo l’intervento dell’Autorità pubblica, eventualmente in funzione supplente, può attestare la regolarità della circolazione dei beni soggetti ad accisa.

Da questo punto di vista, pare estremamente utile il contributo che può essere desunto, sul tema, dal Regolamento 2018/1912/UE, modificante il Regolamento di esecuzione UE 282/2011 in tema Iva, per effetto del cui articolo 45-bis è ora da presumersi che i beni siano stati spediti dal territorio di uno Stato membro verso una destinazione comunitaria, in presenza di una combinazione di documenti commerciali, puntualmente descritti dalla norma, provenienti sia dalle parti private sia da soggetti indipendenti. Resta tuttavia confermato, da parte della disposizione comunitaria, che l’Autorità fiscale nazionale di competenza può refutare la presunzione di cui sopra: e il caso in esame, della vendita del vino a distanza in ambito UE, potrebbe proprio essere la situazione tipo in cui un’Autorità fiscale nazionale, in attesa di una “validazione” doganale di altro Paese membro, potrebbe nel frattempo disattendere gli sforzi dei contribuenti, di dimostrare l’intervenuto trasporto in UE del vino ceduto.

Il Regolamento UE recante l’elenco delle prove alternative rilevanti ai fini della non imponibilità Iva delle cessioni intracomunitarie dei beni, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, si applica a decorrere dal 1° gennaio 2020. Da qui in avanti, dunque, il quadro di riferimento del tema in esame potrà delinearsi con maggiore chiarezza.

( Articolo di Silvio Rivetti e Alberto Tealdi pubblicato su “Rivista per la consulenza in agricoltura )

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