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Deducibilità dei compensi agli amministratori: serve la delibera

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L’amministratore della società ha diritto al compenso per la propria opera prestata. Tuttavia, la società deve osservare determinati adempimenti, che sono propedeutici all’erogazione dei compensi.

Non bisogna poi dimenticare che la giurisprudenza è intervenuta spesso in tema di detti compensi, per cui sembra opportuno richiamare alcuni orientamenti giurisprudenziali che meritano attenzione per la loro peculiarità

Il codice civile

 Secondo l’articolo 2389 c. c., i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea. Nei fatti, quindi, la determinazione del compenso è stabilita dallo statuto, a norma dell’articolo 2364 c.c., oppure dall’assemblea dei soci. La norma ha natura imperativa ed inderogabile. A parere della Suprema Corte, e come stabilito nella sentenza n. 21933 del 29 agosto 2008, è certo che il bilancio contiene la posta relativa al compenso degli amministratori, ma ammettere che la delibera di approvazione del documento debba ritenersi come implicita determinazione del compenso, significherebbe rendere superfluo il contenuto disposto dal citato articolo 2389. Ne consegue l’obbligatorietà di apposita delibera.


Questo principio è stato, nel tempo, confermato da altri orientamenti giurisprudenziali. Nella sentenza della Corte di Cassazione n. 11779 dell’8 giugno 2016, è stato disposto che la quantificazione del compenso agli amministratori non prevista nell’atto costitutivo, non può essere determinata ed implicita in sede di approvazione del bilancio. La deducibilità delle somme corrisposte dalla società agli amministratori non può, dunque, essere riconosciuta sulla base della mera delibera di approvazione del bilancio.



Va comunque osservato che l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 5763 del 3 marzo 2021 (ma anche la n. 24768 del 4 dicembre 2015), ha statuito che, se in sede di assemblea convocata per l’approvazione del bilancio è presente l’intero capitale sociale, i soci possono espressamente discutere e approvare la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.


Infine, gli ultimi giudici sono intervenuti, con la sentenza n. 13058 del 23 giugno 2016, sancendo il principio secondo il quale “Il diritto degli amministratori di società di capitali al compenso per l’opera prestata ha natura di diritto soggettivo perfetto, circostanza dalla quale discende che, nel caso in cui l’atto costitutivo nulla preveda per la determinazione del compenso, né abbia disposto in tal senso l’assemblea a norma degli artt. 2364 e 2389 c.c., la quantificazione del compenso può essere devoluta al giudice”. Nella pratica, quindi, il giudice può stabilire il compenso spettante agli amministratori della società, fermo restando che questo può avvenire solo se l’atto costitutivo nulla preveda in tal senso.

Misura del compenso

I compensi spettanti agli amministratori sono stabiliti:

  • in misura fissa;
  • in misura variabile.

Questi ultimi possono essere determinati in una percentuale:

  1. dell’utile netto risultante dal bilancio;
  2. ancorata ad altri parametri. Per esempio, il risultato prima delle imposte ovvero i ricavi delle vendite e delle prestazioni.


I compensi in misura fissa e quelli determinati in percentuale di parametri diversi dall’utile netto risultante dal bilancio, costituiscono costi di esercizio e vanno imputati a conto economico secondo il principio di competenza. I compensi rapportati all’utile netto risultante dal bilancio non sono costi di esercizio e non transitano dal conto economico.

Il TUIR

La disciplina relativa ai compensi agli amministratori è contenuta nell’articolo 95, comma 5, del TUIR, laddove è disposto che detti compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, del TUIR, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti; quelli erogati sotto forma di partecipazioni agli utili, anche spettanti ai promotori e soci fondatori, sono deducibili anche se non imputati al conto economico.


Da notare che la deducibilità dei compensi è ancorata al criterio di cassa in luogo di quello ordinario di competenza, “tipico” della determinazione del reddito d’impresa.


In merito alla deducibilità, la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 57/E del 18 giugno 2001, ha chiarito che, per i compensi rientranti nell’articolo 51 del TUIR, si applica il principio di cassa allargato, per effetto del quale sono deducibili gli importi corrisposti entro il 12 gennaio dell’esercizio successivo a quello di riferimento.


Generalmente, quindi, i compensi degli amministratori sono redditi assimilati al lavoro dipendente e, quindi, si applicano le previsioni di determinazione dell’imponibile relative a detto reddito.

Tuttavia possono essere annoverati tra i redditi di lavoro autonomo in ragione della particolare competenza del soggetto (es. ingegnere amministratore di società edilizia, dottore commercialista). Sul punto la Suprema Corte, con sentenza n. 15822 del 29 luglio 2016, ha stabilito che i compensi ricevuti da detti soggetti, sono costi per prestazioni di servizio e si considerano sostenuti alla data in cui le prestazioni sono ultimate. In questo caso si emette regolare fattura soggetta ad Iva e non si applica il principio di cassa allargato (Circ. n. 105/E del 12.12.2001).

Quanto suddetto impone un’analisi di alcune pronunce della Corte di Cassazione che attengono all’aspetto fiscale dei compensi in questione.


La sentenza n. 24379 del 30 novembre 2016 ha stabilito che l’Amministrazione Finanziaria può effettuare una valutazione della congruità dei compensi esposti in bilancio, non essendo vincolata alla misura indicata nelle deliberazioni della società. In sostanza, se i compensi agli amministratori risultano del tutto sproporzionati rispetto al fatturato prodotto dalla società, il Fisco può riprenderli a tassazione.


Di particolare interesse è la sentenza n. 21953 del 28 ottobre 2015, dove è previsto il principio secondo il quale la determinazione dei compensi degli amministratori stabilita dall’articolo 2389 c. c., rappresenta un elemento essenziale del rapporto fiduciario che presiede all’affidamento dell’incarico di amministratore. Se la delibera contiene questioni estranee all’attribuzione dei citati compensi, allora si intende adottata in violazione del menzionato articolo, ritenendosi nulla ai sensi dell’articolo 1418, comma 1, c.c. Questo, con riguardo agli effetti fiscali, comporta l’indeducibilità assoluta del costo relativo ai compensi. In tali circostanze, infatti, difetterebbero i requisiti di certezza ed obiettiva determinabilità della spesa previsti dall’articolo 109 del TUIR, ai fini della relativa deducibilità dal reddito della società.

Sempre con riguardo alla deducibilità, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 7329 del 16 marzo 2021, ha stabilito che la determinazione del compenso è legata ad una delibera assembleare con data antecedente all’erogazione del compenso che ne determini l’ammontare. In mancanza della delibera, gli ultimi giudici hanno dedotto che il rispetto della regola civilistica conferisce al costo quel carattere di certezza e determinabilità cui la norma citata subordina la relativa deducibilità fiscale.


La contabilità

I compensi agli amministratori devono essere imputati a conto economico secondo il principio di competenza e, quindi, anche se non sono corrisposti. La mancata corresponsione dei compensi nello stesso periodo d’imposta in cui vengono imputati a conto economico crea un disallineamento tra la normativa civilistica e quella fiscale, la quale obbliga la deducibilità solo nel momento del pagamento. In presenza di questo caso sembra necessario contabilizzare le imposte anticipate da utilizzare nel periodo d’imposta nel quale viene corrisposto il compenso.


Rinuncia al compenso

La rinuncia deve risultare espressamente e non implicitamente, ma sul punto la giurisprudenza non è concorde.


Con la recentissima sentenza n. 1673 del 26 gennaio 2021, la sezione lavoro della Cassazione ha dettato il principio per effetto del quale l’incarico di amministratore di una società ha natura presuntivamente onerosa, sicché egli, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto di essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli, diritto, questo, che è però disponibile e pertanto derogabile da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell’incarico.


Di contro, la Suprema Corte con sentenza n. 24139 del 3 ottobre 2018, ha deciso che il diritto dell’amministratore di società di capitali ad essere compensato per la carica ricoperta non viene meno per il solo fatto che egli non ne abbia richiesto il pagamento durante lo svolgimento dell’incarico o successivamente. Nei fatti, se lo statuto prevede l’erogazione del compenso, all’amministratore in ogni caso spetta.

Si è dell’avviso, comunque, che se lo statuto della società prevede la gratuità dell’incarico di amministratore, egli non avrà diritto al compenso (Cass. n. 285 del 9 gennaio 2019; Cass., sent. n. 15382 del 21 giugno 2017).

( Articolo di Francesco Barone pubblicato su “Fiscal Focus” )

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