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I prelievi dai conti non fanno ricavi

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I prelevamenti operati dal lavoratore autonomo dai propri conti correnti non sono automaticamente riferibili ad un investimento nell’ attività professionale destinato a generare ricavi imponibili, spettando semmai all’ Amministrazione provare che, se ingiustificati, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito. È il principio confermato dall’ ordinanza n. 10290/2021 della Cassazione del 20 aprile.

Una professionista ricorreva alla Corte dopo esser risultata soccombente sia in primo grado che in appello, contro un avviso di accertamento portante maggiori importi per Irpef ed Iva. Dal giudizio d’ appello emergeva la convinzione dei giudici della Ctr della legittimità della ripresa induttiva operata dall’ ufficio delle entrate con cui venivano rideterminati induttivamente più di 34 mila euro di redditi di lavoro autonomo, sulla base degli accreditamenti e dei prelevamenti attenzionati su conti correnti. La sentenza della Ctr, secondo la quale la parte non avrebbe confutato con prove documentali l’accertamento induttivo, veniva quindi resa oggetto di ricorso per cassazione. Con questo, si deduceva, come primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, co. 1, n. 2, secondo periodo del dpr n. 600/73 nei confronti della contribuente, lavoratore autonomo, la quale invocava il principio sancito dalla Corte Costituzionale (sent. n. 228/2014) che aveva ritenuto irragionevole la presunzione legale contenuta in quella norma e riferita ai lavoratori autonomi.

Gli ermellini si sono soffermati ancora una volta sulla verifica della applicabilità della presunzione posta dal citato art. 32, condividendo il canone fissato dalla Consulta con la sentenza del 2014, alla quale si è affiancato lo stesso indirizzo seguito dalla Cassazione (Cass. n. 3628/2017). Questo ha stabilito che è contrario al principio di ragionevolezza nonché di capacità contributiva ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito. Venendo meno sul punto l’equiparazione tra attività imprenditoriale e professionale, limitatamente ai prelevamenti sui c/c, spetterà semmai all’ ufficio «l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal c/c bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi».

Dall’esame della sentenza di appello, si evince che l’Ufficio, a causa della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, aveva determinato induttivamente in euro 34.075,00 il reddito di lavoro autonomo della contribuente, sulla base degli accreditamenti e prelevamenti dai conti correnti, ritenuti compensi per prestazioni di lavoro;

– la Ctr affermava che la ricorrente aveva limitato la sua difesa a generiche eccezioni e non aveva confutato, attraverso prove documentali o altri mezzi di prova, l’accertamento induttivo del reddito operato dall’ ufficio; () con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 32, co. 1, numero 2, secondo periodo del dpr 29 settembre 1973, n. 600 in relazione all’ art. 360, n. 3 c.p.c.», laddove doveva trovare applicazione il principio di diritto scaturito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014, che aveva ritenuto irragionevole la presunzione posta dall’articolo 32 citato riferita ai lavoratori autonomi;

– il ricorso involge la preliminare verifica della applicabilità della richiamata presunzione legale nei confronti del contribuente lavoratore autonomo; il motivo è fondato; ricordato che la contribuente è stata ritenuta, appunto, un lavoratore autonomo, si rileva che la Corte costituzionale con sentenza 24 settembre 2014, n. 228 ha rilevato la contrarietà della presunzione posta dall’ ultima parte dell’ art. 32, comma 1, n. 2 e dell’ inversione dell’ onere probatorio che ne discende al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva, ritenendo «arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito», dichiarando, quindi, l’illegittimità costituzionale della sopra riportata disposizione «limitatamente alle parole «o compensi»»; in coerente applicazione della decisione della Corte Costituzionale, questa Corte ha affermato il principio secondo cui è venuta meno, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale, limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti – cfr. Cass. n. 16697/2016, Cass. n. 3628/2017

– ricadendo, quindi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi; la sentenza impugnata, fondata sull’ applicazione della prova legale, va sul punto cassata ().

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