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Smart Working – «Obiettivi ben definiti e tecnologie adeguate»

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Lo smart working non è il lavoro da casa, tanto è vero che questa definizione non compare mai nella legge 81/2017. È una modalità basata sugli obiettivi da raggiungere, che si fonda sull’autonomia e sulla responsabilità del lavoratore».

Per Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio sullo smart working della School of management del Politecnico di Milano, la definizione dello smart working è importante per capire quale potrà essere l’evoluzione futura di questo strumento.

Professor Corso, l’emergenza da coronavirus ha messo in evidenza che alcune aziende erano già pronte ad attivare lo smart working, mentre altre fanno più fatica ad attivarlo in tempi brevi. È così? Proprio perché non si tratta semplicemente di lavorare da casa, lo smart working richiede alle aziende modalità organizzative specifiche, cioè team e capi preparati a gestire lavoratori “agili” e non. E, soprattutto, una dotazione tecnologica adeguata. In questi giorni, per le aziende che avevano già implementato il lavoro agile, l’unica difficoltà è stata adeguare i sistemi informatici a una connessione contemporanea da remoto di un numero elevato di lavoratori. Ma indubbiamente queste aziende si sono trovate avvantaggiate. Quelle che non erano organizzate, lo hanno fatto in via emergenziale, comunque trovando un’alternativa migliore rispetto al blocco dei processi produttivi.

Come si fa ad attuare lo smart working in aziende dove è necessario il lavoro in team, con un contatto diretto tra i lavoratori, o dove c’è una relazione con la clientela? La domanda giusta da farsi non è quali lavori si possono fare da remoto. Ma quali attività, nell’ambito di un singolo lavoro, possono essere svolte con lo smart working, anche sfruttando le possibilità offerte dall’innovazione tecnologica. Spetta dunque ai singoli team individuare quali parti del lavoro possono essere svolte in modalità agile. Faccio due esempi: con il progetto «Edilizia agile» la città di Torino ha attivato un servizio tramite Skype, riorganizzandosi ed

erogando prestazioni anche in orari più ampi, con l’eliminazione di code agli sportelli e una maggiore soddisfazione dei cittadini. Ci sono poi aziende attive nella manutenzione di impianti che dopo il crollo del ponte Morandi, a Genova, hanno sostituito la manutenzione ex post (cioè l’invio di squadre in loco dopo la segnalazione di un danno) con l’installazione di sensori negli impianti, che consentono di fare una manutenzione preventiva, guidando da remoto squadre locali – anche all’estero, eventualmente – negli interventi di riparazione. Tutto questo con un notevole risparmio di costi.

Lo smart working procederà dunque di pari passo con l’innovazione tecnologica? Sì, anche i lavoratori devono sviluppare competenze digitali e adattarsi a processi che cambiano. Questo consentirà loro anche migliori prospettive di impiego in futuro.

( Articolo di V.Me Pubblicato su “Il sole 24 ore” )

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