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Tempi e regole della nota di variazione

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Nota credito senza alcun termine temporale se il mancato pagamento del corrispettivo pattuito fra le parti è causa di risoluzione del contratto.

Con la risposta 119 del 2021 l’Agenzia delle Entrate dà seguito ai principi affermati dalla suprema Corte di Cassazione con la Sentenza n. 12468 del 2019 secondo cui in tema di imposta sul valore aggiunto a fronte della risoluzione per inadempimento da parte del committente il prestatore ha la facoltà, accertata la causa di estinzione del contratto, di variare in diminuzione la base imponibile dell’iva in relazione alle prestazioni eseguite e non remunerate antecedentemente la risoluzione medesima.


In ordine alla procedura di variazione, per tutti i casi non sia sopravvenuto un accordo fra le parti, l’articolo 26 del DPR n. 633 del 1972 prevede due modelli fra loro alternativi. Il primo relativo all’ipotesi in cui l’operazione viene meno in tutto o in parte, così riducendone l’ammontare, in conseguenza di una dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili; il secondo attinente al mancato pagamento in presenza di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose. In entrambi i casi, al verificarsi dei presupposti, la nota di variazione in diminuzione deve essere emessa, e la maggiore imposta versata, al più tardi entro la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui si è verificato il presupposto.


Orbene, l’Amministrazione Finanziaria conferma che qualora sia prevista una clausola risolutiva espressa connessa al mancato pagamento del corrispettivo e l’inadempimento rappresenti il presupposto materiale dell’interruzione del rapporto contrattuale, non è necessario esperire procedure esecutive individuali o collettive. Posto che la risoluzione contrattuale è la conseguenza diretta dell’inadempimento del committente, il soggetto passivo può operare la variazione in diminuzione per tutte le fatture rimaste insolute, purché emesse antecedentemente alla risoluzione medesima.


Sul punto si colga che, salvo per il verificarsi di una causa di nullità, per emettere la nota di variazione in diminuzione è sufficiente che si verifichi una causa di estinzione del contratto, senza che sia necessario un formale atto di accertamento, negoziale o giudiziale che sia. Ai sensi dell’articolo 1458 codice civile la risoluzione del contratto per inadempimento, salvo per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ha effetto retroattivo tra le parti. Ne consegue che il creditore, unico arbitro di chiedere la risoluzione del contratto dal momento in cui si verifica l’inadempimento della controparte, al verificarsi della fattispecie potrà decidere di rettificare l’imponibile, indipendentemente dal diritto all’eventuale risarcimento. L’aspetto importante, piuttosto, è che il contratto si risolva a causa dell’inadempimento di una delle parti, per causa legale, ovvero in assenza di sopravvenuti accordi. In quest’ultimo caso, ai sensi del comma 3 del predetto articolo 26, la nota di variazione dell’imposta potrà essere emessa solo entro l’anno dall’effettuazione dell’operazione, ad esempio attraverso il sopravvenuto riconoscimento di sconti o abbuoni non previsti contrattualmente.


Ne discende che, una volta emessa la fattura ed assolto il conseguente versamento dell’imposta, il soggetto passivo potrà emettere senza limiti di tempo, e senza esperire alcuna azione esecutiva, la nota di variazione in relazione alle prestazioni eseguite e non remunerate. A tal fine la nota di variazione, finalizzata a detrarre l’imposta relativa alla fattura rimasta insoluta, dovrà essere emessa, al già tardi, entro la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui si è verificare la causa di risoluzione. Se emessa tempestivamente la nota di variazione confluirà nella relativa dichiarazione. Diversamente, fermo restando il diritto alla rettifica dell’imposta, la nota di variazione potrà essere emessa, sempre senza limiti temporali, ma al verificarsi delle condizioni di “insolvenza”. In questa diversa ipotesi l’articolo 26, comma 2, del decreto IVA, infatti, richiede la presenza «di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose».


Si tratta di verificare la sussistenza dei presupposti di operatività del meccanismo di variazione previsto dai commi 2 e 3 dell’articolo 26 del DPR n. 633 del 1972, affinché la neutralità che caratterizza l’imposta sul valore aggiunto trovi piena realizzazione. Pur nei suoi meccanismi applicativi, la base imponibile dell’iva deve essere sempre costituita dal corrispettivo realmente conseguito, sicché nella sua applicazione l’Amministrazione Finanziaria non possa pretendere di più di quanto il soggetto passivo abbia effettivamente ricevuto in remunerazione delle prestazioni eseguite.

( Articolo di Paolo Iaccarino pubblicato su “Fiscal Focus”)

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