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Smart working, verifica con obiettivi misurabili

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Con l’emergenza non serve l’accordo individuale Molte le best practice. Lo smart working abilita il dipendente allo svolgimento della prestazione senza quei vincoli di tempo (i turni di lavoro) e di spazio (la sede aziendale) che costituiscono un tratto essenziale del tradizionale rapporto di lavoro.

La diffusione delle nuove tecnologie ha un ruolo centrale in questo ambito perché è proprio attraverso la dotazione ai dipendenti dei pc, dei tablet e dei palmari che si agevola il ricorso al lavoro agile. Lo smart working non costituisce, peraltro, una nuova forma contrattuale contrapposta al classico rapporto di lavoro dipendente, ma realizza una nuova modalità di esercizio, per così dire, smaterializzato dai tradizionali vincoli spazio/temporali della medesima attività lavorativa che i dipendenti continueranno, comunque, anche a svolgere dalla sede aziendale con i canonici turni di lavoro. L’emergenza pandemica ha fatto letteralmente esplodere la diffusione di questo strumento, cui si fa oggi ricorso per milioni di lavoratori quale misura di contenimento della diffusione del Covid19. Non è più richiesto l’accordo individuale tra le parti fino alla cessazione dell’emergenza epidemiologica, ma permane la necessità di dare contenuto e sostanza a quell’ insieme di regole (scolpite nella legge 81/2017) che consentono alle imprese di gestire lo smart working in modo efficiente e funzionale alle esigenze del business aziendale.

All’ accordo individuale era richiesto di disciplinare l’esercizio dei poteri di direzione e controllo nell’ ambito della prestazione di lavoro agile. Questa esigenza non è certo venuta meno nella fase emergenziale e le best practice che si sono riprodotte in questi mesi ne sono efficace testimonianza. Alcune imprese richiedono ai lavoratori di presentare un piano delle attività che essi eseguiranno nei giorni di lavoro agile, oppure di redigere ex post un report sugli obiettivi realizzati al termine di ciascun ciclo di riferimento. In altri casi, ai lavoratori è sottoposto un questionario sulle attività da svolgere nella settimana di smart working, che gli stessi devono compilare e trasmettere al proprio referente, il quale effettuerà una verifica finale sull’ effettivo adempimento delle prestazioni elencate nel documento. La migliore forma di controllo è l’assegnazione di obiettivi misurabili nella loro dimensione oggettiva e numerica, che costituiscono il parametro più agile e immediato per verificare se lo smart worker è in linea con le aspettative attese dall’ impresa.

Nella stessa direzione si muovono le regole che, in un’ottica di coordinamento della prestazione da remoto con le attività in azienda, impongono al lavoratore agile di partecipare a meeting in modalità virtuale (Zoom, Teams, Hangouts eccetera) e di rendersi reperibile via mail o smartphone in determinate fasce orarie. Non tutte le attività si prestano al lavoro agile. È evidente che l’operaio in cantiere, così come il manutentore di macchinari o il cassiere di supermercato, svolgono prestazioni che richiedono una presenza fisica in azienda. È allora importante che siano individuate le mansioni e le figure professionali che possono beneficiare dello smart working, così come un “set” di regole comuni sui criteri di selezione dei dipendenti che, a parità di mansione, possono accedere al lavoro agile. Si tratta di un tema delicato, che può essere correttamente affrontato richiamando parametri che si prestano alla verifica oggettiva, tra i quali spiccano la distanza della residenza dalla sede di lavoro, i carichi familiari, le condizioni di salute e l’anzianità di servizio dei dipendenti.

( Articolo di Giuseppe Bulgarini D’Elci pubblicato su “Il Sole 24Ore” )

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