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Apertura di pieghi, borse e casseforti nel corso di una verifica fiscale

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Nel corso delle operazioni di accesso per verifica fiscale presso i locali del contribuente ad opera dei militari della Guardia di Finanzia ovvero dei funzionari delle Entrate può accadere che l’autorità procedente richieda l’apertura di plichi, borse, casseforti e/o persino di email non ancora lette, rinvenute nel luogo di accesso.

Cosa fare in tali occasioni? È possibile opporsi a tale richiesta in assenza di apposita autorizzazione ex articolo 52 D.P.R. 633/1972 da parte dell’organo procedente? E in ipotesi di consenso all’apertura sarebbe possibile eccepire in seguito l’inutilizzabilità dei dati irritualmente acquisiti ed utilizzati ai fini dell’accertamento?

La giurisprudenza offre un’interessante casistica utile, al ricorrere di tale fattispecie, all’assunzione da parte del contribuente o del professionista da esso delegato di un contegno che sia improntato alla tutela del diritto di difesa pur nel rispetto del principio di collaborazione con l’ente accertatore.

In merito all’acquisizione di documenti in sede di verifica si ricorda che essa può avvenire per spontanea esibizione da parte del contribuente e/o di un suo delegato ovvero per materiale reperimento da parte dei verificatori.

Tuttavia, la normativa prescrive la necessità di una specifica autorizzazione per l’assunzione da parte dell’organo procedente di informazioni e/o documenti la cui acquisizione renda necessaria la compressione del diritto alla riservatezza e/o del segreto professionale.

In particolare, l’articolo 52, comma 3, D.P.R. 633/1972 prevede che, in sede di accesso, ispezioni e verifiche: “È in ogni caso necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale …”.

La norma parla di “apertura coattiva” il che porterebbe ad escludere che possa dirsi tale l’ispezione di borse e/o plichi avvenuta previo consenso del titolare.

Lo Statuto del contribuente, a sua volta, all’articolo 12, comma 2 L. 212/2000 individua tra le garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il diritto ad “essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, la facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché i diritti e gli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche“.

Secondo il prevalente orientamento della Cassazione, l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale, stante l’assenza nell’ordinamento tributario di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, non comporta, di per sé e in assenza di specifica previsione, la loro inutilizzabilità, salvo il caso in cui venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio (cfr.: Cassazione, n. 29132/2018).

Ed è proprio sotto questo profilo che potrebbe invocarsi l’illegittimità dell’acquisizione di elementi indiziari e/o probatori rinvenuti a seguiti dell’apertura non autorizzata di plichi, borse etc… rinvenute in occasione dell’accesso presso il contribuente ed in assenza del consenso di questi.

La giurisprudenza della Cassazione ha, infatti, assunto una posizione non concorde in ordine al consenso manifestato dal contribuente ed in particolar modo al fatto che esso possa sanare le acquisizioni probatorie eseguite senza la prescritta autorizzazione dell’autorità giudiziaria, soprattutto in quanto non vi è una specifica previsione normativa circa il rilievo da attribuire al comportamento del contribuente.

Secondo un primo orientamento (Cassazione, n. 14701/2018; n. 20253/2005), è irrilevante il consenso del contribuente, in quanto l’acquisizione della documentazione senza le necessarie garanzie di cui all’articolo 52, comma 3, D.P.R. 633/1972 ne comporterebbe comunque l’inutilizzabilità; invece, seguendo un secondo orientamento il consenso del contribuente escluderebbe l’inutilizzabilità della documentazione acquisita senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria (Cassazione, n. 24306/2018; n. 737/2021).

La questione non è di poco momento atteso che nel primo caso, a prescindere dal contegno assunto dalla parte privata, sarebbero inutilizzabili i dati irritualmente acquisiti sì da divenire ininfluente la scelta del contribuente di accondiscendere alla richiesta di apertura dei verificatori; nel secondo caso invece, in assenza di autorizzazione, la “collaborazione del contribuente” sarebbe determinante nell’eliminazione del vizio, atteso che in presenza di un “volontario adempimento” non si verificherebbe “l’apertura coattiva” prevista dall’articolo 52, comma 3, D.P.R. 633/1972.

Secondo un diverso orientamento la compressione del diritto alla segretezza, quale declinazione del diritto alla libertà personale, avendo natura di diritto disponibile, non determinerebbe la sanzione dell’inutilizzabilità, in presenza del volontario consenso del titolare alla sua limitazione.

La questione è stata da ultimo rimessa alla valutazione delle Sezioni Unite dall’ordinanza della Cassazione n. 10664/2021 e, in attesa di conoscerne gli esiti, si ritiene che le operazioni di verifica debbano comunque essere improntate al rispetto dei principi di collaborazione con l’azione amministrativa e di tutela dei diritti del contribuente attuabili tramite la verifica della sussistenza delle necessarie autorizzazioni per l’espletamento delle attività di ispezione, l’adempimento dell’onere informativo in favore del contribuente ed il ricorso allo strumento della verbalizzazione nel corso delle operazioni di verifica.

( Articolo di Caterina Bruno pubblicato su “Euroconference News” )

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