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Niente diritti e onorari al funzionario che assiste

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Nel giudizio tributario la condanna delle spese in favore dell’ufficio finanziario assistito dai propri funzionari presenta fondati principi di incostituzionalità: il funzionario non è, infatti, iscritto in nessun ordine professionale e non ci sarebbero diritti e onorari da «rifondere». Sono le motivazioni dell’ordinanza n. 620/2021, emessa dalla sezione prima della Ctp di Taranto, e depositata il 9 settembre scorso.

Con l’ ordinanza il collegio ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale affinché decida sulla eccezione di costituzionalità dell’ articolo 15, comma due sexies, del dlgs n.546/1992 nella parte in cui stabilisce che «nella liquidazione delle spese a favore dell’ ente impositore, dell’ agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’ albo di cui all’ articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto».

La Commissione ritiene che non vi siano motivi logici che giustificano la liquidazione di onorari di avvocato a chi non è avvocato, e che svolge funzioni non professionali in senso tecnico ma in qualità di un rapporto interno di lavoro subordinato.

La Cassazione tributaria, sul punto, si è espressa in modo non conforme. La sezione sesta della Corte di legittimità nell’ ordinanza n.27444/2020 e nell’ ordinanza n.9900/2021 ha stabilito che, sia l’ufficio finanziario nella prima ordinanza, che il comune di Capo Rizzuto nella seconda, erano stati in giudizio con un proprio funzionario; ragione per cui non potevano essere ipotizzate condanne per onorari. Nella successiva ordinanza n.

20590/2021 la sezione quinta della stessa Corte, recependo le disposizioni dell’articolo 15, comma 2-sexies del dlgs n.546/92 e sovvertendo quello che sembrava un indirizzo di buon senso ormai consolidato, ha riconosciuto la congruità del comma 2-sexies. La Ctp di Taranto ha quindi ritenuto maturi i tempi per denunciare la incostituzionalità di questa disposizione, con riferimento agli articoli 3, 24 e 33 della Costituzione. Per quanto riguarda l’articolo 3, il collegio provinciale ritiene violato il principio della ragionevolezza. La violazione dell’ articolo 24 riguarda invece un diverso trattamento tra le parti mentre, la stessa norma sotto accusa, violerebbe l’ articolo 33 secondo cui nessuna professione può essere esercitata senza abilitazione.

Benito Fuoco () il funzionario, nel momento in cui va a rappresentare l’ ente di appartenenza dinanzi al giudice tributario, non fa altro che svolgere una attività rientrante nel proprio mansionario e nell’ adempimento dei propri doveri d’ ufficio o contrattuali, volta a dare conto dell’ operato svolto.

Di conseguenza, non si capisce a quale titolo agli enti di appartenenza debbano essere riconosciuti, in caso di vittoria, diritti e onorari di avvocato, semplicemente per l’ attività di mansionario svolta da propri dipendenti.

Infatti, nell’ ipotesi inversa, quando cioè il ricorrente si difenda da sé, senza obbligo di assistenza tecnica (art. 12, comma 2), non è previsto analogo trattamento a suo favore.

Il che dà la cifra definitiva della irragionevolezza e disparità del sistema, a parità di situazioni.

Insomma, quando si difendono da sé, ricorrente ed ente impositore non contendono ad armi pari: infatti, in caso di vittoria, al ricorrente, senza avvocato, non spetta nulla, mentre all’ ente, senza avvocato, spettano diritti e onorario di avvocato. Senza un avvocato!

In questo caso, il meccanismo vigente finisce per diventare, per il ricorrente, l’equivalente di una sanzione punitiva mascherata e, quindi, un deterrente idoneo a condizionare il libero e pieno esercizio del diritto di difesa. La disposizione violerebbe, in ogni caso e più in generale, l’ art.33 della costituzione, secondo cui nessuna professione può essere esercitata senza abilitazione, quando prescritta.

Ora, poiché il funzionario delegato rappresenta l’ ente in quanto dipendente, a prescindere dal possesso di un titolo accademico e di una abilitazione professionale, ma, semplicemente, per dovere d’ ufficio o contrattuale, riconoscere a favore dell’ ente stesso, in caso di vittoria, diritti e onorario di avvocato, significherebbe equiparare un ‘attività rientrante nei doveri del lavoratore alla libera professione forense, legalizzandola di fatto, in violazione del dettato costituzionale.

Gli illustrati profili di irragionevolezza normativa, di compressione del diritto di difesa, di ingiustificata diversità di regime, a parità di fattispecie, e di surrettizia «legalizzazione» dell’ esercizio della professione di avvocato da parte del funzionario delegato non abilitato richiedono, a modesto parere del Collegio, un intervento chiarificatore e risolutivo da parte dell’ On.le Giudice delle leggi.

P.Q.M.
Visto l’ art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone: l’ immediata trasmissione di copia della presente ordinanza e degli atti di causa alla Corte costituzionale, affinché decida sulla sollevata eccezione di incostituzionalità del comma 2-sexies, art. 15 del decreto legislativo n. 546 del 1992 ().

( Articolo pubblicato su “Italia Oggi”)

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